• 29/08/2022
  • Soluzioni SAS
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Cronaca di un incidente sul lavoro

Non tutti gli incidenti sul lavoro sono uguali. La cronaca, anche quella vicentina, ci restituisce spesso casi di persone che sono rimaste schiacciate da una pressa, si sono rovesciate con il trattore o sono cadute da diversi metri di altezza. Può capitare, però, che vi siano lavoratori colti da malore, per esempio da un infarto, durante il servizio. E allora la domanda sorge spontanea: il malore sul lavoro può essere considerato un infortunio? La risposta non è delle più semplici. La questione, infatti, è alquanto delicata e va analizzata nel dettaglio. Solo così potremo soddisfare anche un’altra richiesta molto frequente: è possibile ottenere il risarcimento danni?

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Cos’è un infortunio sul lavoro

Anzitutto va chiarito che cos’è un infortunio sul lavoro. In linea generale, esso deve avere tre caratteristiche principali, ossia:

  1. avere una causa violenta;
  2. avvenire in occasione di lavoro;
  3. impedire di esercitare le proprie funzioni lavorative per più di tre giorni.

Detto altrimenti, l’evento scatenante deve essere così improvviso e violento, tale da derivarne l’inabilità permanente, l’inabilità assoluta temporanea o addirittura la morte. Inoltre, come sottolinea l’Inail, deve sussistere un rapporto, anche indiretto, di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta dall’infortunato e l’incidente che causa l’infortunio.

In tale contesto, dove si colloca il malore?

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Quando il malore è “eccezionale”

A prima vista, l’infarto, presentandosi come un malore improvviso, potrebbe essere ricondotto sotto la categoria dell’infortunio. Tuttavia non è sempre così. Va infatti accertato che l’evento sia la conseguenza di condizioni ambientali e di lavoro eccezionali, che richiedono un impegno superiore alla normale adattabilità e tollerabilità.

In altre parole, condizioni di lavoro eccessivamente gravose possono contribuire all’insorgenza di un malore. Tale sovraccarico, però, va dimostrato e deve riguardare un breve e recente arco temporale. Gli effetti lenti e progressivi dello stress lavorativo sull’organismo non costituiscono, appunto, un motivo sufficiente per parlare di infortunio.

Cause da “superlavoro” che possono produrre un malore sono, ad esempio, i turni troppo lunghi, i carichi di lavoro insostenibili, i viaggi frequenti, nonché delle patologie preesistenti che possono rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose.

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Le tutele previste

Se l’infarto viene qualificato come infortunio, la persona ha diritto a un’indennità temporanea assoluta da parte dell’Inail per il periodo di assenza dal lavoro. Tale prestazione economica viene erogata dal quarto giorno successivo all’evento e sino alla guarigione clinica. Nello specifico:

  • fino al 90° giorno si ottiene 60% della retribuzione media giornaliera;
  • dal 91° giorno e fino alla guarigione, l’indennità è pari al 75% della retribuzione media giornaliera.

Il primo giorno di infortunio, invece, viene retribuito dal datore di lavoro con un importo pari al 100% della retribuzione. Importo che scende al 60% nei due giorni successivi.

Nel caso in cui l’infarto venga classificato come una malattia comune, il lavoratore riceverà solo l’indennità di malattia dall’Inps. Eventuali altre tutele economiche dipendono dal CCNL e sono a carico del datore di lavoro.

A margine, va sottolineato che il risarcimento danni per un infarto sul lavoro con esito fatale può essere riconosciuto anche agli eredi, purché venga ravvisato un collegamento causale tra l’evento mortale e l’occasione di lavoro.

“Come abbiamo spiegato, più fattori concorrono a stabilire se si ha diritto al risarcimento danni. Quando questo è previsto, il passo successivo è far sì che sia il più equo possibile. Perciò è fondamentale rivolgersi agli specialisti giusti. Una consulenza in più può cambiare la vita”, chiosa Carlo Quipotti, titolare dell’infortunistica Soluzioni ad Altavilla Vicentina.

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